Brasile: la stanchezza del lulismo dopo 10 anni di governo


Lula_Dilma

Un’occasione per celebrare i dieci anni di governo. Per decantare i successi miracolosi. Per tracciare la nuova rotta del “Paese del Futuro”. Durante il meeting del PT (Partito dei Lavoratori) a San Paolo il 20 febbraio, davanti a una folla festante di sostenitori e bandiere spiegate, Lula e la presidente Dilma hanno benedetto il lulismo e lanciato la sfida verso le elezioni del 2014 usando lo slogan preso in prestito dal discorso di Gettysburg di Abramo Lincoln: “un governo del popolo, al popolo, per il popolo”.

Ma l’affetto e la carica emotiva suscitati dall’uso massiccio di propaganda e dalla continua sottolineatura dei risultati ottenuti, stridono con l’impasse economica che affligge la locomotiva sudamericana. La crescita del Pil si è fermata e l’inflazione è tornata a mordere i portafogli dei brasiliani. E un dubbio comincia ad insinuarsi nella coscienza nazionale: dopo che gli anni di governo saranno diventati 12, verrà il momento per il PT di cedere il passo.

Da grande festa democratica, la manifestazione organizzata dal partito di Lula potrebbe rivelarsi un boomerang. Come spesso accade durante i bei sogni, il risveglio arriva sul più bello: il Brasile s’è scoperto fragile e diviso. Le dure parole pronunciate al Senato da Aècio Neves, deputato del PSDB (il maggiore partito di opposizione) e candidato virtuale alle presidenziali del 2014, sono il manifesto della frattura politica. “Nonostante la cantilena salvazionista onnipresente nella saga di partito redentore del Brasile moderno, è giusto segnalare alcune assenze nella festa del PT: l’autocritica, l’umiltà e la riconoscenza. Il Brasile è un Paese stagnato, fermo”.

Al di là della logica di opposizione, le critiche di Neves hanno colto nel segno. Le stime per il 2012 danno la crescita dell’economia di poco inferiore all’1 per cento. L’inflazione è arrivata al 6,02 per cento, ben oltre le intenzioni del Governo che si era posto l’obiettivo di mantenerla intorno al 4,5 per cento. Se non si tratta di un disastro, poco manca. Ma ciò che spaventa è che la verve della ricetta economica lulista, basata sull’aumento della capacità di spesa dei cittadini, quindi sul consumo di massa, sembra essersi esaurita.

Eppure se si votasse domani ci sarebbero pochi dubbi sul vincitore. Durante la convention del PT, Lula ha espresso la volontà di ricandidare Dilma Rousseff. Con tutta probabilità vincerebbe ancora a man bassa, perché gli scossoni macroeconomici non hanno ancora toccato il “carnevale” del consumo. In Brasile il credito bancario non è mai stato così accessibile, i supermercati e i negozi sono pieni di clienti e la disoccupazione è ancora ai minimi storici. Ma senza una nuova ricetta economica, nel lungo periodo le incongruenze e la mancanza di competitività dell’industria nazionale si faranno sentire.

Se il PT sarà in grado di riprendere le redini dell’economia lo si vedrà nei prossimi due anni di governo. La strategia elettorale preparata al margine della festa di San Paolo non sembra porsi il problema. I fronti sui quali il Partito dei Lavoratori ha deciso di puntare sono tre: il consolidamento delle alleanze con i partiti vicini, il miglioramento dell’immagine di Dilma nei media nazionali e la mobilitazione dei militanti attraverso l’organizzazione di seminari politici in tutto il Paese. Una strategia comprensibile per un partito al potere da tanto tempo, con l’obiettivo di consolidare la popolarità acquisita piuttosto che innovare. Il PT sembra stanco, ostaggio dei suoi successi. In fondo la democrazia è il sistema dell’alternanza. Altri quattro anni al comando, oltre ai dodici che completerà nel 2014, potrebbero offuscare tanto l’immagine del PT quanto i risultati del Brasile.

Eliano Rossi

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